Allora, parliamo un po’ di questa NASpI, che sarebbe poi l’indennità di disoccupazione per chi ha perso il lavoro in modo involontario. Quindi non è che uno si licenzia così di punto in bianco e poi pretende di averla, eh… No, ci sono delle regole abbastanza precise. Possono richiederla quelli che lavoravano con un contratto subordinato, tipo gli apprendisti.
Quelli che lavorano in cooperative come soci ma che hanno un contratto di lavoro subordinato (cioè non è che sono soci e basta), gli artisti dipendenti e anche i dipendenti pubblici ma solo se a tempo determinato. Però, attenzione, non tutti possono accedere. Ad esempio, quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione non possono richiederla, così come gli operai agricoli, sia a tempo determinato che indeterminato.
E pure gli extracomunitari con permesso di lavoro stagionale restano fuori. Insomma, non è proprio per tutti, ci sono un bel po’ di categorie escluse. Ora, veniamo ai requisiti. Per avere la NASpI ci sono due condizioni fondamentali: bisogna essere disoccupati e bisogna avere versato un certo numero di contributi.
Tutti i requisiti per la NASpI
Per lo stato di disoccupazione, però, non basta essere senza lavoro, deve essere una disoccupazione involontaria. Quindi chi si dimette di sua spontanea volontà, in linea di massima, non ha diritto. Ma… ci sono delle eccezioni, ovviamente. Ad esempio, chi si dimette per giusta causa può comunque richiedere la NASpI.
E qui si aprono tutta una serie di situazioni che fanno eccezione, tipo: se il datore di lavoro non paga lo stipendio, se uno subisce molestie sul lavoro (cosa gravissima, ovviamente), se cambiano le mansioni in modo peggiorativo, se c’è mobbing, se l’azienda viene ceduta e le condizioni peggiorano, se il lavoratore viene spostato senza una valida motivazione tecnica o produttiva e altre situazioni simili.
Insomma, se uno lascia il lavoro perché ha subito un torto evidente, allora la NASpI la può richiedere comunque. Un’altra situazione particolare è quella delle dimissioni durante il periodo di maternità. Cioè, se una donna si dimette entro 300 giorni prima del parto o fino a quando il bambino compie un anno, allora può avere la NASpI, ma attenzione, non vale per colf e badanti.
Alcune eccezioni
Poi c’è il discorso della risoluzione consensuale del contratto. In genere, se due parti si mettono d’accordo per interrompere il rapporto di lavoro, non si ha diritto alla NASpI. Ma, anche qui, eccezioni: se la risoluzione avviene in una procedura di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro, allora ok, si può fare domanda.
Oppure se il lavoratore si rifiuta di trasferirsi in un’altra sede a più di 50 km dalla residenza, può comunque accedere all’indennità. C’è anche il caso in cui uno accetta un’offerta di conciliazione a seguito di un licenziamento oppure se il licenziamento è disciplinare (cioè il classico sei stato licenziato per motivi seri).
Insomma, le casistiche sono tante e, a volte, un po’ complicate da capire, ma in generale la regola è: se perdi il lavoro senza colpa tua, potresti averne diritto. Per quanto riguarda i contributi, bisogna aver versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni prima di diventare disoccupati.
La questione dei contributi
Questa è una cosa molto importante, perché senza il requisito contributivo, anche se sei disoccupato non puoi ottenere la NASpI. Ma attenzione. Non contano tutti i contributi allo stesso modo. Ad esempio, sono validi i contributi pagati durante il lavoro subordinato, quelli figurativi accreditati per la maternità obbligatoria e anche quelli per lavori all’estero, ma solo se il Paese ha un accordo con l’Italia.
Anche i lavoratori frontalieri o transfrontalieri possono far valere i periodi lavorati in un altro Paese UE. Poi ci sono anche i contributi per l’astensione dal lavoro per malattia dei figli (ma solo fino agli 8 anni e per massimo 5 giorni l’anno, cioè, veramente pochi). Però, non tutti i periodi di contribuzione contano.
Ad esempio, non valgono quelli per malattia e infortunio sul lavoro se il datore di lavoro non integra la retribuzione. E non valgono neanche i periodi in Cassa Integrazione a zero ore, cioè quando l’azienda ferma completamente l’attività e i lavoratori non lavorano per niente. Un’altra cosa che non conta sono i periodi di aspettativa non retribuita per cariche sindacali o pubbliche elettive.
Per finire il discorso
E neanche i congedi presi per assistere familiari disabili in certe situazioni particolari. Anche i periodi di lavoro all’estero in paesi che non hanno accordi con l’Italia sulla disoccupazione non sono validi. Insomma, tra chi può richiederla, chi no, chi può solo in certe condizioni e quali contributi contano e quali no, capire se si ha diritto alla NASpI può diventare un bel rompicapo.
Bisogna fare attenzione a tutti questi dettagli, perché basta un piccolo errore per vedersi respingere la domanda. Comunque, per chi ha diritto, la richiesta si fa all’INPS, e ci sono tempi da rispettare, quindi meglio non aspettare troppo. Ah, e altra cosa importante: la NASpI non dura per sempre, c’è un limite di tempo, che dipende dai contributi versati, quindi meglio organizzarsi per cercare un nuovo lavoro nel frattempo.